Vent’anni buttati nel…
Nell’ottobre 2001 iniziava la guerra in Afghanistan, per liberare il Paese dai cattivi Talebani ed imporre la pacificazione, proteggere i civili, favorire la crescita democratica del Paese, migliorare la condizione della donna ecc ecc. Non vogliamo mettere in dubbio la bontà d’animo di chi ha partecipato, né i buoni propositi alla base dell’azione, né negare che il terrorismo – oggettivamente favorito dalla situazione – andasse contrastato. Però dopo 20 anni di presenza delle potenze occidentali, dopo miliardi di dollari spesi tra ricostruzione e mantenimento delle truppe, dopo l’addestramento dell’esercito e delle forze di polizia locali, per metterli in condizione di gestire autonomamente il territorio cosa abbiamo? Che nel giro di nemmeno un mese i Talebani sono rispuntati come i funghi ed hanno ripreso possesso del Paese come se nulla fosse.
Questo significa anzitutto che per vent’anni i guerriglieri hanno potuto rifornirsi di armi, di munizioni, di cibo, nonché hanno potuto addestrarsi, arruolare nuovi adepti, mantenere un’organizzazione diffusa ed efficiente. Il che è impossibile senza il diffuso supporto della popolazione locale. In secondo luogo, visto che vent’anni sono praticamente una generazione, soprattutto in un luogo dove la vita media non raggiunge standard elevatissimi, significa che i programmi scolastici, l’esempio dato, i modelli offerti non hanno saputo prevalere su quelli precedenti, evidentemente recepiti in famiglia e nella comunità. I guerriglieri che oggi hanno 20-25-30 anni difficilmente hanno memoria dei tempi precedenti l’occupazione, dunque non aderiscono ai modelli che sono stati – o avrebbero dovuto essere – proposti.
Infine l’economia: i campi di oppio sono stati estirpati? Se sì da cosa sono stati sostituiti? E’ stato insegnato alla popolazione locale non solo che democrazia è bello, ma anche a coltivare patate, riso, mais, aloe o cosa può crescere da quelle parti oltre all’oppio? Siamo proprio sicuri che i soldi investiti per la ricostruzione ed il miglioramento delle condizioni di vita siano andati a buon fine? E se no, è stato un errore di valutazione in buona fede? A pensar male, si può immaginare che qualcuno abbia arraffato qualcosa; a pensar peggio si può ipotizzare che tutto sommato quelle piantagioni e questa economia di guerra facessero tutto sommato comodo, per cui non ci fosse e non ci sia un reale interesse occidentale ad elevare realmente gli standard del Paese.
Con buona pace dei 3.069 morti della coalizione e dei 38.000 morti civili, almeno secondo i dati ufficiali.
Inoltre andarsene lasciando un Paese in balia delle frange estremiste, oltre a vanificare gli sforzi compiuti ed a ricreare una bolla di potenziale pericolo per le nostre nazioni crea anche un precedente pericoloso: se passa l’idea che gli occidentali lasciano sempre il lavoro a metà – come già accaduto con la prima Guerra del Golfo – chi eventualmente valutasse l’idea di fare il delatore e segnalare la presenza di attività sospette, finirebbe col pensare che gli stranieri vanno, i Talebani restano, rinunciando a collaborare.
E meno male che ci sono incompatibilità fra i Talebani sunniti e l’Iran sciita, perché se andassero tutti d’amore e d’accordo non ci vorrebbe molto a creare una Repubblica islamica estesa dall’Iraq all’Afghanistan, magari con qualche altra aggiunta, ed allora ne vedremmo delle belle.
Vogliamo fare un bel trattato internazionale, che stabilisca che se proprio si prende la decisione di occupare una Nazione, al di là dei motivi più o meno nobili, non si va via finché gli obiettivi inziali non sono raggiunti?